L’accordo diminuito è uno degli accordi con i quali si armonizza la scala maggiore.
Ma cos’è l’armonia, cosa vuol dire armonizzare e cosa vuol dire scala maggiore?
Leggi fino in fondo questo articolo e capirai tutto quanto, in maniera semplice.
INDICE
- I tre elementi costitutivi della musica
- l’armonia
- la melodia
- il ritmo
- La scala maggiore
- Cos’è la tonalità
- perchè si definisce la tonalità di un brano
- il sistema equabile
- come scelgono la tonalità i compositori contemporanei
- le tonalità sono le famiglie del Castello della musica
- le funzioni dei componenti di una tonalità
- Armonizzazione
- armonizzazione della scala
- che differenza c’è fra tonalità e scala
- armonizzazione della scala maggiore
- do maggiore
- sol maggiore
- perché nella scala maggiore non ci sono solo accordi maggiori
- cosa sono le alterazioni
- armonizzazione della scala
- Triadi e quadriadi
- triadi
- quadriadi
- Accordo diminuito: cos’è
- Accordo semidiminuito: cos’è
- Semidiminuito perchè?
- Il semitono e il tono
- l’intervallo di terza minore
- Che differenza c’è tra chiamare la stessa nota diesis o bemolle
- l’intervallo di terza maggiore
- l’accordo minore: come si costruisce
- In conclusione
1. I tre elementi costitutivi della musica
L’armonia è la scienza che studia come costruire l’architettura di un brano musicale.
Si contrappone a melodia, ovvero la parte della musica che tutti noi canticchiamo, per esempio in una canzone.
Armonia, melodia e ritmo sono i tre principali elementi che compongono la musica.
L’armonia
Ciò che sorregge la melodia, ovvero crea il telaio con il quale sostenerla, è l’armonia.
L’armonia è a sua volta un insieme di note che procedono in senso verticale, ovvero come tanti fotogrammi in un film.
È come la struttura di una casa: l’insieme di fondamenta, muri e tetto.
La melodia
La melodia, invece, è come la decorazione con la quale rendiamo più bella la casa: il suo colore, è ciò che notiamo subito.
Quando guardi il duomo di Firenze, la prima cosa che balza all’occhio è il suo meraviglioso insieme di colori. Solo dopo ti rendi conto di quanto sia meravigliosa anche la struttura.
In questo caso hai notato prima la “melodia” e solo dopo “l’armonia”.
Questa è la stessa cosa che succede con la musica: quando ascolti, per esempio, la sesta sinfonia di Tchaikovsky, ciò che continui a canticchiare quando esci, non è la parte dei contrabbassi o delle percussioni. Quello che ti ricordi è rappresentato dalle splendide melodie – i temi – che si intrecciano uno dopo l’altro, in maniera sovraumana per quanto sono belli. (Compiti per casa: ascoltare il primo tempo della sesta sinfonia di Tchaikovsky).
Il ritmo
Se armonia e melodia sono come la scocca (ovvero la struttura portante) e la carrozzeria di un’auto (la parte esterna), il ritmo rappresenta il suo movimento.
Il modo con cui si muoverà una Panda, non sarà lo stesso con cui si muoverà una Lamborghini.
Proprio per questo, la musica non esiste se non esiste il ritmo. Il ritmo è il soffio di vita della musica. Ciò che anima il burattino di legno e gli permette di vivere.
Sì perché la musica prende vita nel Tempo e questo è rappresentato dal ritmo.
Ti dirò di più: il ritmo può vivere da solo, senza melodia e armonia. Pensa alle tribù e alle loro musiche: si basano tutte sulle percussioni, usate per accompagnare la danza.
In breve, la melodia e l’armonia, senza ritmo, non esisterebbero. Il ritmo può esistere senza armonia e melodia. I tre elementi insieme danno vita a un brano musicale, completo dei suoi elementi costitutivi.
2. La scala maggiore
La scala maggiore è quella che conoscono in molti, grazie agli Aristogatti, famoso cartone animato della Disney dove dei simpatici gattini imparavano a suonare.
C’è una scena, in particolare, dove una gattina canta una canzoncina intonando arpeggi e scale: ” do mi sol do do sol mi do, do re mi fa sol la si do si sol sol…”
Quella che canta la micetta è una successione dell’arpeggio di do maggiore (andata e ritorno) e della scala di do maggiore: do re mi fa sol la si do.
Ma cos’è una scala?
Per capirlo devo prima spiegarti cos’è una tonalità
3. Cos’è la tonalità
Siamo abituati a considerare la tonalità come una parola legata ai colori.
“Mettiti una cravatta più intonata con la camicia” “hai scelto una tonalità di colore sbagliata: sta malissimo con i tuoi capelli” (cose molto da donna vero?)
Nella musica, la tonalità, si riferisce alle 7 note che puoi usare quando decidi di comporre un brano, proprio come per un pittore che decide di mettere sulla sua tavolozza i colori che userà nel suo dipinto.
Avrai sentito più volte l’espressione “Notturno” o “Sinfonia” o “Valzer” o “Preludio” in… do maggiore, oppure do minore, o mi bemolle maggiore ecc.
Un esempio è il famosissimo valzer di Chopin in mi bemolle maggiore, il preludio di Bach in do maggiore, dal clavicembalo ben temperato, il minuetto in sol maggiore, dello stesso autore e tanti altri.
Perché si definisce la tonalità di un brano?
Bellissima domanda.
Una tempo, le tonalità erano tutte diverse una dall’altra: ognuna aveva caratteristiche peculiari che facevano prevedere il “carattere” di quella composizione.
Un po’ come andare in libreria e chiedere un libro giallo o un romanzo rosa, un thriller, un manuale, un’autobiografia ecc.
Il sistema equabile
Dall’introduzione del sistema equabile, intorno alla seconda metà del Settecento (1750-1800), le tonalità suonano tutte allo stesso modo. C’è stata una specie di “globalizzazione” musicale.
Per questo motivo, un brano nella tonalità di do maggiore suonerà uguale se lo esegui in un’altra tonalità, per esempio, mi maggiore. Cambierà solo che, nel primo caso, sarà più “basso” rispetto al secondo, ma le caratteristiche del brano musicale saranno le medesime. La conseguenza di questa “globalizzazione” è che, adesso, la tonalità di un brano non identifica più il suo carattere.
Facciamo un esempio per capire meglio. Ti sarà capitato di canticchiare un brano e sentirlo troppo “alto” per la tua voce. Quello che avrai fatto, per riuscire a cantarlo meglio, magari inconsapevolmente, sarà stato di trasportarlo in una tonalità più bassa e più adeguata alle tue corde.
Come scelgono le tonalità, i compositori contemporanei?
Le motivazioni sottese alla scelta della tonalità, oggi, possono dipendere da molti fattori:
- alcuni strumenti possono eseguire più facilmente alcune tonalità rispetto ad altre
- le voci hanno un’estensione predefinita: se scrivi un pezzo per basso, non potrai usare le stesse note che usa un soprano e questo potrà determinare la scelta della tonalità;
- alcune tonalità sono più adatte ai principianti;
- altre permettono passaggi tecnici che sarebbero stati di difficile esecuzione in altre tonalità.
Le tonalità sono le famiglie del Castello della musica
Nei miei corsi, paragono le tonalità a dei nuclei famigliari.
Ogni famiglia (tonalità) è composta da sette note, tutte diverse fra di loro. I membri della famiglia vivono insieme, in una stanza del Castello della musica. Il castello avrà quindi tante stanze quante sono le tonalità (cosa che spiegherò in un altro articolo).
Il compositore sceglie di ambientare il suo brano in una di queste stanze.
Prima della “globalizzazione” delle tonalità (il temperamento equabile), ogni famiglia aveva i suoi usi e costumi. Comporre il brano in una stanza o in un’altra caratterizzava il risultato in maniera totalmente diversa.
Oggi, anche se vai in una stanza “esotica”, troverai una famiglia con le stesse abitudini e funzioni di una famiglia nostrana.
Per esempio: do maggiore è la tonalità più semplice del mondo. I suoi componenti sono do, re, mi, fa, sol, la, si.
Come vedi, è la più semplice perché non ha note alterate, ovvero note con alterazioni. Le alterazioni sono dei simboli che cambiano l’altezza della nota, facendola suonare più bassa o più alta di un semitono. Più avanti le spiego in maniera dettagliata.
Le funzioni dei sette membri di una tonalità
I sette componenti corrispondono a diversi ruoli famigliari: il capofamiglia, nella tonalità di do maggiore, è il do. Lui dà anche il nome alla tonalità (tonalità di do maggiore). La sua funzione è chiamata di tonica, proprio perché dà il nome alla tonalità.
Poi, abbiamo la funzione di dominante, esercitata dalla nota sul quinto scalino: il sol, nella tonalità di do maggiore. Il sol è la dominante, una sorta di “moglie” all’interno di questa famiglia immaginaria. Il suo ruolo è di polo opposto rispetto alla tonica. Una tonalità non può esistere senza queste due funzioni principali.
Anche le altre note hanno funzioni specifiche che concorrono alla creazione di un equilibrio e delle relazioni fra i componenti della tonalità.
Sono argomenti ai quali è necessario dedicare più tempo per spiegarli con chiarezza. Li trovi tutti all’interno dei miei corsi certificati Sognandoilpiano, in questa pagina: Corsi Sognandoilpiano.
4. Armonizzazione
A questo punto, ti chiederai cosa significa armonizzare.
Armonizzare significa costruire un accordo su una linea di accompagnamento.
Ti sarà capitato di vedere le parole di una canzone e, sotto queste parole (a volte, sopra), scritto in lettere, il nome dell’accordo che devi usare.
Per fare quell’accordo devi armonizzare, ovvero costruirlo, partendo dalla sua fondamentale, ovvero la nota segnata in lettere.
Facciamo un esempio: se leggo “re maggiore”, dovrò armonizzare quel re, suonando le note che appartengono al suo accordo, cioè re, fa#, la. Se leggo “sol maggiore”, dovrò armonizzarlo suonando sol, si, re. E così via, per tutti gli accordi segnati.
L’armonizzazione della scala
L’armonizzazione della scala consiste nello scegliere una tonalità, per esempio do maggiore, e armonizzare tutte le note della sua famiglia, ovvero do, re, mi, fa, sol, la, si.
Nota bene: per armonizzare una scala devi sempre usare le note appartenenti a quella tonalità.
Quindi, se siamo in do maggiore, non potrai usare note che non appartengono a quella tonalità.
Che differenza c’è fra tonalità e scala?
La tonalità è un insieme di note, che vive in una determinata stanza del Castello della musica. Nel caso di do maggiore, abbiamo capito che sono do, re, mi, fa, sol, la e si. Avremmo ragione anche se dicessimo che fanno parte della tonalità di do maggiore le note: si, la, sol, fa, mi, re e do. Quello che conta, quando si definisce una tonalità, è identificare le note che la compongono.
La scala, invece, è la successione ordinata di queste note, partendo dalla prima, quella che dà il nome alla famiglia, fino all’ultima, la settima. La scala di do maggiore (tonalità), sarà dunque: do, re, mi, fa, sol, la e si.
Per semplificare la vita ai miei allievi, io faccio immaginare la stanza del castello dove vive la famiglia (tonalità) di do maggiore e poi faccio immaginare di entrare e vedere i sette membri disposti su una vera e propria scala, composta da sette gradini. Questi gradini saranno, appunto, i sette gradi della scala, dal primo al settimo!
Se provi a disegnarla, ti sembrerà più chiaro e lo capirai benissimo.
Armonizzazione della scala maggiore
Armonizzazione della scala di do maggiore
- I. do, accordo maggiore: do mi sol
- II. re, accordo minore: re fa la
- III. mi, accordo minore: mi sol si
- IV. fa, accordo maggiore: fa la do
- V. sol, accordo maggiore: sol si re
- VI. la, accordo minore: la do mi
- VII. si, accordo diminuita: si re fa
Come puoi notare, le note che fanno parte di questa armonizzazione, sono esclusivamente quelle della famiglia di do maggiore. Questa successione di accordi maggiori, minori e diminuiti, vale per tutte le scale maggiori.
Armonizzazione della scala di sol maggiore
Facciamo lo stesso esempio nella tonalità di sol maggiore. Innanzitutto quali sono le note della famiglia di sol maggiore?
- I Sol (tonica, il capofamiglia che dà il nome alla tonalità)
- II La
- III Si
- IV Do
- V Re (dominante)
- VI Mi
- VII Fa#
Come vedi abbiamo il fa#, nota non presente nella tonalità di do maggiore. Grazie a questa unica differenza, possiamo affermare di essere in una tonalità diversa da quella di do maggiore. Una tonalità con un proprio nome: sol maggiore.
Per armonizzarla proseguiamo inserendo i relativi accordi:
- I Sol, accordo maggiore: sol si re
- II La, accordo minore: la do mi
- III Si, accordo minore: si re fa# (perchè nella tonalità di sol maggiore abbiamo il fa# e non il fa)
- IV Do, accordo maggiore: do mi sol
- V Re, accordo maggiore: re fa# la
- VI Mi, accordo minore: mi sol si
- VII Fa#, accordo diminuito: fa# la do
Come vedi, la successione degli accordi maggiori, minori e diminuito, rimane uguale. Cambiano solo le note. In questo modo potresti armonizzare tutte le scale maggiori. Non ti consiglio di farlo, prima di aver imparato bene un paio di scale più semplici. Per scala più semplice, intendo quelle che, fra i suoi componenti, non ha troppe alterazioni.
Perché nella scala maggiore non ci sono solo accordi maggiori?
Premessa
Nella mia esperienza, ci sono alcuni concetti che confondono più di altri, quando si impara l’armonia. Il primo è che molti confondono la parola “maggiore” con “diesis”. Per questo motivo credono che re maggiore corrisponda al re diesis, ovvero il secondo dei due tasti neri al pianoforte. Stessa cosa accade con la parola “minore” scambiata spesso per “bemolle”. Invece, mi minore è una tonalità o un accordo, a seconda del contesto. Non sarà mai mi bemolle.
A cosa si riferisce “maggiore”
La parola “maggiore” si riferisce a:
- una tonalità: esistono tonalità maggiori e minori. La tonalità di do maggiore avrà alcune note diverse da quella di Do minore. Approfondiremo questo tema più avanti. La tonalità maggiore è caratterizzata da note a distanze predeterminate fra loro.
- una scala: esistono, come per le tonalità, scale maggiori e minori. Queste sono le principali nella musica classica. Poi, ogni genere musicale ha sviluppato le proprie. Per questo, avrai sentito nominare le scale blues, quelle jazz e altre ancora. Quello che ti posso dire è che se impari le scale maggiori e minori, hai poi un riferimento per imparare con semplicità tutte le altre. In questo momento può essere utile sapere che per costruire, a partire da qualsiasi nota, una scala maggiore, devi osservare queste distanze fra le note:
T (tono) T ST (semitono) T T T ST
Capiamo meglio questo concetto, analizzando le singole distanze fra i gradi di una scala maggiore.
Da:- I a II: 1 tono
- II a III: 1 tono
- III a IV: 1 semitono
- IV a V: 1 tono
- V a VI: 1 tono
- VI a VII: 1 tono
- VII a VIII: 1 semitono (VIII è la nota da cui riparte la scala)
- un accordo: ci sono varie tipologie di accordi. Per adesso, ricorda i principali, ovvero: maggiori, minori, diminuiti, eccedenti (o aumentati). La tipologia di accordo dipende dai pezzettini che lo compongono, ovvero gli intervalli di terza. Se è composto da:
- una terza maggiore e una minore, sarà un accordo maggiore
- un intervallo minore e uno maggiore, sarà un accordo minore
- due terze minori, sarà un accordo diminuito
- due intervalli di terza maggiore, sarà un accordo eccedente (o aumentato)
- un intervallo: è la distanza fra due note. È maggiore quando la seconda nota fa parte della tonalità maggiore della prima, dalla quale si calcola l’intervallo. Per esempio, so che in do maggiore, le note appartenenti alla tonalità maggiore sono do, re, mi, fa, sol, la e si. Se vuoi sapere che intervallo sia “do la”, dovrai chiederti se la nota “la” faccia parte della tonalità di do maggiore. Siccome è così, possiamo dire che questo è un intervallo maggiore.
Risposta
A questo punto è più facile rispondere alla domanda: “Perché nella tonalità maggiore non ci sono solo accordi maggiori?”
Perché se usassimo solo accordi maggiori, dovremmo obbligatoriamente usare note che non fanno parte di quella tonalità. Per esempio, sappiamo che in do maggiore ci sono solo tasti bianchi, non alterati. Sappiamo, inoltre, che sul secondo, sul terzo e sul sesto grado, ci sono accordi minori. Se usassi anche su quei gradi degli accordi maggiori, dovrei inserire un diesis sulla rispettiva terza. L’accordo sul secondo grado, il re, sarebbe re fa# la per poter essere maggiore e mi porterebbe a inserire un diesis, ovvero una nota aliena alla famiglia di do maggiore.
Per questo motivo, all’interno di una scala maggiore, esistono accordi misti. Stessa cosa per le tonalità minori.
Pensandoci, mi viene sempre in mente l’identità di una famiglia, che è sempre data dalla varietà dei suoi membri e non dal fatto che siano identici. Pensala così, se ti aiuta!
Cosa sono le alterazioni?
Le alterazioni sono diesis e bemolli, ovvero quei segni che indicano di far salire o scendere di un semitono una nota.
Il diesis (#), messo davanti al fa, indicherà di suonare la nota con un semitono in più, ovvero la prima dei tre tasti neri: il fa diesis.
Il bemolle (b) davanti al mi, per esempio, significa il contrario: quella nota scenderà (andrà verso sinistra, sul pianoforte) di un semitono. Dovrai suonare il secondo dei due tasti neri: il mi bemolle.
5. Triadi e quadriadi: cosa sono e qual è la differenza?
Avrai sentito parlare di traidi e quadriadi.
Triadi
Una triade è, semplicemente, un accordo composto da tre note.
La triade più semplice, l’accordo maggiore, è costituita da una terza maggiore e una terza minore.
Cos’è una terza? Un intervallo, ovvero la distanza fra due note.
Come nella vita quotidiana le distanze si calcolano in centimetri, metri, kilometri, in musica si calcolano attraverso toni e semitoni. Se non conosci questa concetto, lo spiego meglio più avanti.
Accordo di do maggiore: do mi sol.
- Do – mi = intervallo di terza maggiore
- Mi – sol = intervallo di terza minore
L’insieme di questi due intervalli di terza, dà vita alla triade maggiore.
Per semplificare le cose, puoi considerare la parola accordo e la parola triade come sinonimi, sapendo che triade si riferisce a un accordo con 3 note.
Quadriadi
Una quadriade è semplicemente un accordo composto da 4 note. Quando parliamo di accordi di settima, stiamo riferendoci a un accordo di 4 note, ovvero le quadriadi. Un esempio è l’accordo di sol 7: sol si re fa.
Un accordo di settima, infatti, è composto da 3 intervalli di terza sovrapposti. Le caratteristiche e l’ordine di questi intervalli di terza, determinano l’identità dell’accordo di settima.
Anche questo è un argomento che tratto in maniera approfondita nel mio corso Sognandoilpiano. Per ora è importante che tu comprenda la differenza fra triadi e quadriadi.
6. Accordo diminuito: cos’è
È un accordo nel quale sono sovrapposti due intervalli di terza:
- il primo è un intervallo di terza minore
- il secondo è anche lui un intervallo di terza minore.
In do maggiore, sul settimo grado c’è il si.
Il si, armonizzato in tonalità di do maggiore, sarà: si re fa.
- Si re: è un intervallo di terza minore.
- re fa: è anche lui un intervallo di terza minore.
Tutto questo è riferito alla triade.
7. Accordo semidiminuito: cos’è?
Abbiamo detto che “diminuita” è la triade sul settimo grado: si re fa, in do maggiore.
Semidiminuita è la quadriade sul settimo grado: si re fa la, sempre in do maggiore.
Quindi, l’aggettivo semidiminuito si può riferire esclusivamente a un accordo di 4 note.
Infatti, se sul settimo grado della scala di do maggiore, costruiamo un accordo di 4 note (quadriade), diventa un accordo semidiminuito: si re fa la.
Semidiminuito perché?
Per essere diminuito, con 4 note, avrebbe dovuto essere: si re fa la bemolle.
Infatti, un accordo diminuito ha come caratteristica, quella di essere composto da tutti intervalli di terza minore.
Un intervallo di terza minore è composto da una distanza di un tono e mezzo.
Il semitono e il tono
Se consideri che un intervallo di semitono è la più piccola distanza possibile fra due note, per esempio tra do e do#, e il tono è l’insieme di due semitoni, sarà molto facile calcolare tutti gli intervalli.
L’intervallo di terza minore
Come dicevo più su, l’intervallo di terza minore corrisponde alla distanza di un tono e mezzo: do mi bemolle, per esempio.
Come lo calcolo?
In questo caso abbiamo:
- mezzo tono (semitono) fra do e do diesis (#),
- un altro semitono fra do diesis e re,
- l’ultimo semitono fra re e mi bemolle (b).
In tutto, tre semitoni che corrispondono a un tono e mezzo.
Che differenza c’è tra chiamare la stessa nota diesis o bemolle
Perché lo chiamo mi bemolle e non re diesis? Perché è un intervallo di terza. Per essere definito così devono esserci 3 nomi di note, come distanza.
Per esempio, nell’intervallo di terza consideriamo la prima nota quella di partenza (il do), la seconda quella che saltiamo (il re) e quella di arrivo, ovvero la terza, il mi.
Se fosse stato do-re#, l’avremmo chiamato intervallo di seconda, perché dal do al re sono coinvolte 2 note.
L’intervallo di terza maggiore
L’intervallo di terza maggiore, invece, corrisponde alla distanza di due toni: do mi, per esempio.
- do do#: un semitono.
- do# re: semitono.
- re re#: semitono.
- re# mi: un semitono.
In tutto, sono 4 semitoni, ovvero 2 toni (ogni tono corrisponde a due semitoni).
Ecco svelato come costruire accordi maggiori, accordi diminuiti e semidimuniti. Manca solo più l’accordo minore.
L’accordo minore: come si costruisce?
L’accordo minore è composto da: un intervallo minore e uno maggiore.
Per esempio, l’accordo di re minore è re fa la.
- Tra re e fa c’è un intervallo di terza minore.
- Tra fa e la c’è un intervallo di terza maggiore.
Come vedi, rispetto all’accordo maggiore, dove avevamo un intervallo di terza maggiore è uno di terza minore, nell’accordo minore si invertono. Prima un intervallo di terza minore e poi uno di terza maggiore.
8. In conclusione
Ora, hai in mano le chiavi per capire meglio l’armonia, l’armonizzazione della scala e il perchè alcuni accordi sono diversi da altri.
Stessa cosa per le tonalità!
Se vuoi saperne di più o fare domande, vieni nel mio canale Telegram.
Troverai molte informazioni utili, audio riassuntivi e materiali che condivido con i miei allievi.
A presto
Silvia
P.S se ti piace questa tipologia di articoli, fammelo sapere sul gruppo telegram o scrivendo a silvia@sognandoilpiano.it